top of page

"Andrà tutto bene" un cazzo

Aggiornamento: 4 giu 2020

“Il mondo si divide / fra chi pensa che i violenti debbano essere trattati con violenza / e chi pensa che con la violenza invece non si ottenga / nient'altro che violenza”.

Inizia con questi versi la prima traccia dell’ultimo album “Cip!” di Brunori Sas. Una frase sentenziosa e dai tratti aforistici, capace però di creare una netta e profonda separazione etica-morale nella nostra società. In tempi di pandemia, naturalmente, queste riflessioni da ‘professoroni’ lasciano spazio ad argomenti di rilevatura certamente maggiore. C’è però un elemento che lega quei primi versi di “Il mondo si divide” con quello che ci sta succedendo.


In Italia, da circa 40 giorni, è in corso una delle più grandi opere di retorica degli ultimi 20 anni, “Andrà tutto bene”. Sebbene inizialmente sembrava fosse un’ondata di mediocrità infermabile, quasi incontrovertibile, negli ultimi giorni – finalmente - l’opinione pubblica ha cominciato a dividersi con lo stesso netto taglio cantato da Brunori: ora in Italia il mondo si divide fra chi pensa, scrive e urla “Andrà tutto bene”, e chi pensa che invece sia una buffonata, che non andrà assolutamente “tutto bene”, e che anzi, continuando a urlarlo e a scriverlo, andrà ancora peggio. Io appartengo a quest’ultima categoria, ed ora dirò perché.


Uno. Fondamentalmente, reputo insopportabile la retorica inutile e mediocre, e in ordine cronologico “Andrà tutto bene” ne è solo l’ultimo esempio. Cartelloni, hashtag, messaggi, video: per settimane i nostri social e i nostri balconi sono stati pedantemente invasi da un esercito di arcobaleni che invocavano slogan positivistici ancor prima che si capisse se veramente sarebbe potuto andare tutto bene. Ciò che però trovo moralmente più grave di questa nuova campagna di retorica è la strumentalizzazione dei bambini. In queste settimane i bambini li abbiamo visti ovunque con i loro cartelloni e i loro arcobaleni, sono loro a cui è stato dato il compito di dipingere, di scrivere, di urlare “Andrà tutto bene”. Ecco, sebbene sia difficile non provare tenerezza nei loro confronti, io continuo a chiedermi perché debbano essere usati, sfruttati e strumentalizzati in una faccenda molto, molto, molto più grande di loro. Un bambino riesce a malapena a capire cosa sia un virus, perché non può uscire a giocare con il migliore amico o perché non può andare a trovare la nonna che lo aspetta con l’uovo di Pasqua: vi prego, non chiediamo loro di più, non chiediamo loro di colmare i nostri timori e le nostre debolezze, non sfruttiamo la loro autenticità per trasmettere messaggi senza che siano in grado di capirli fino in fondo, oppure senza che siano capaci di riflettere sulle reali conseguenze che il futuro ci spetta. E lo dico anche per un motivo pedagogico. Una delle riflessioni che mi restarono maggiormente impresse da una conferenza di Galimberti a cui ebbi la fortuna di partecipare alcuni mesi fa riguardava l’esperienza del dolore per i bambini. Galimberti quella sera sottolineò l’importanza, dal suo punto di vista, di far partecipare i bambini ai funerali in modo che, sebbene magari capiscano poco o nulla di quello che accade loro intorno, possano fin da subito fare una prima esperienza dell’emozione del dolore e del significato che questa porta con sé, in modo da poterlo affrontare con maggiore tranquillità una volta che li vedrà protagonisti. Alla luce di questo aneddoto, mi chiedo dunque perché piuttosto che continuare a convincere i bambini che tutto andrà bene ora e sempre, non si possa –per gli stessi motivi sopracitati- sfruttare quest’occasione per far capire loro che non sempre la vita è accomodante e divertente come finora l’hanno sperimentata.

Anche perchè qualche bambina già se n'è accorta.


Facciamo però un passo oltre.


Nel momento in cui scrivo in Italia contiamo 23.660 vittime (ventitremilatrecentosessanta), 178.972 casi accertati, poco meno di 2700 persone in terapia intensiva. Davanti ai nostri occhi sono passate le immagini crude dei convogli militari che trasportavano le salme dei bergamaschi caduti nei forni crematori di altre regioni. Davanti ai nostri occhi sono passate le immagini dolorose delle infermiere e degli infermieri stremati sulle scrivanie nei reparti dopo turni eroici. In alcuni ospedali si è già cominciato a scegliere tra chi salvare e chi lasciare morire. Decine e decine di persone vengono abbandonate nei loro posti letto per l’insufficienza di macchinari in grado di salvare loro la vita. Migliaia di persone stanno vivendo la quotidianità nel terrore che possa arrivare una chiamata dalla casa di riposo che comunichi la positività al virus della nonna o del nonno. Ma soprattutto migliaia di persone stanno morendo senza un familiare o un amico che possa sostenerli al loro fianco e centinaia di migliaia di persone stanno soffrendo la morte di un proprio caro senza poterlo salutare per l’ultima volta. Di fronte a una tragedia sanitaria e umana di queste dimensioni io fatico, veramente faccio fatica, a capire come solo si possa pensare che “andrà tutto bene”. Anzi, dal mio punto di vista in questo slogan si cela in realtà una profonda mancanza di tatto, una deludente insufficienza di empatia, una totale incapacità di immedesimazione nel prossimo.


Tre. Il 7 aprile scorso l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, riunitasi a Ginevra, ha previsto che in Europa nel secondo trimestre del 2020 si verificheranno “importanti riduzioni del numero di ore lavorate - circa il 7,8% - e dell’occupazione - circa 12 milioni di lavoratori a tempo pieno”. L’8 aprile la World Trade Organization, come riporta Il Sole 24 Ore, “ha previsto una contrazione del commercio mondiale tra il 13 e il 32%. Al culmine della crisi finanziaria nel 2009, gli scambi mondiali si erano contratti del 12,5%”. Il 9 aprile il Fondo Monetario internazionale ha comunicato, tramite la sua direttrice generale Kristalina Georgieva, che la crisi economica che quasi tutti i Paesi del mondo dovranno affrontare a causa della pandemia di Covid-19 sarà “the worst economic fallout since the Great Depression”, la più grande crisi economica dal 1929. Il 14 aprile sempre il Fondo Monetario Internazionale, nel rapporto sullo stato dell’economia mondiale, ha comunicato che il Pil del nostro Paese, in base alle loro analisi, subirà una caduta nell’anno 2020 del 9,1%. Nel 2009 il Pil italiano segnò “appena” un -5,0%. In un’intervista rilasciata il 18 aprile a Maria Teresa Santaguida dell’Agenzia AGI, Marco Fortis, economista e docente dell’Università Cattolica di Milano, ha dipinto questo quadro, facendo riferimento particolare alla situazione dei giovani.

Abbiamo avuto la crisi del 2008-2009, poi quella del 2011-2012. Adesso sperimentare una terza grande crisi, ancora più grande delle due precedenti, significa generare disoccupazione e in questo contesto le opportunità di lavoro per i giovani diventano sempre più rarefatte. Se c’erano problemi prima quando eravamo in fase di ripresa e non si riuscivano a creare opportunità di lavoro per le nuove generazioni, è molto verosimile che questi problemi si concretizzeranno ancora di più durante la crisi che ci attende.”

E ancora:

“A soffrire infine, sarà soprattutto il terziario italiano nel turismo, che è importantissimo e coinvolge tantissimi under-40, part time e tempo pieno: un settore che determinerà con la sua crisi una disoccupazione impressionante nella filiera dell’ospitalità, come in alberghi, ostelli, ristoranti”.

“Andrà tutto bene”? Veramente? A questo punto, per smetterla con la retorica dell’”Andrà tutto bene”, sarebbe sufficiente applicare i dati e le previsioni dei ‘professoroni’ alla nostra pragmatica e semplice quotidianità, pensando magari alla già precaria situazione lavorativa dei nostri amici, o dei nostri genitori, dei nostri partner oppure dei nostri figli, oppure pensando alla situazione dei lavoratori autonomi, oppure a chi è appena tornato nell’incubo della cassa integrazione. Basterebbe poi ricordarsi anche che una prima dimostrazione della gravità della situazione economica nel nostro Paese già l’abbiamo avuta il 28 marzo, quando il Governo, con un provvedimento di cui ci ricorderemo a lungo per il (terribile) valore simbolico che porta con sé, ha stanziato 400 milioni di euro per aiutare le famiglie italiane a fare la spesa. Ecco, mentre milioni di persone rischiano o hanno già perso il posto di lavoro, e mentre milioni di persone non hanno sufficiente denaro per i beni di prima necessità, noi continuiamo a leggere e a condividere “Andrà tutto bene”. E no, non sono solo parole, non è solo “un modo di dire”. Il problema infatti non è solamente apparente come può sembrare, ma è fortemente concreto perché, continuando e continuando a ripetere un motivo positivistico di cui piano piano ci si convince, la caduta inizia a sembrare sempre più distante, sempre più lontana, sempre più rarefatta, ed è in quel momento che la caduta (perché sì, senza ipocrisie la caduta ci sarà) sarà inaspettata, quindi più dolorosa e più difficile da riconvertire. Prepararsi alla caduta non è debolezza, ma è matura lungimiranza, è scongiurare il fallimento, è amore di se stessi, e noi in questo momento, convincendoci che andrà tutto bene, stiamo solo perdendo tempo. Non sempre illudersi è più vantaggioso di disilludersi.

Commentaires


 

I contenuti presenti sul blog "QweQwe Blog" dei quali sono autori i proprietari del blog non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perchè appartenenti all'autore stesso. È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo e forma.

È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall'autore.

Copyright  ©  2020  QweQwe Blog by Various Artists  |  All rights reserved

bottom of page