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Warehouse: Songs and Stories. Il testamento degli Husker Du.

Ve la ricordate tutti la Lazio del '74, giusto? Quella dello storico scudetto su cui circolano ancora oggi leggende di ogni tipo, al pari del Mostro di Loch Ness o dell'Area 51.

Una squadra straordinaria, bella e dannata, spaccata a metà. Si è parlato tanto negli ultimi decenni delle due fazioni che la dividevano, da una parte Chinaglia, Wilson, Pulici, dall'altra Re Cecconi, Martini, Frustalupi. Si dice che girassero con le pistole nei borsoni, con i coltelli nei calzettoni, che ogni allenamento rischiava di tramutarsi in rissa e addirittura li separarono in due spogliatoi differenti. Però, quando scendevano in campo, erano invincibili e non ce n'era per nessuno.

Insomma, in questa storia fra la realtà e il romanzo, la verità non si saprà mai.

Ciò che importa è il fatto che quella squadra sia l'esempio più vicino a ciò che erano gli Husker Du nel 1986. E pensare che erano solo in tre, ma le personalità di Bob Mould, chitarra e voce, e Grant Hart, batteria e voce, valevano per venti.

In sintesi, i due erano ai ferri corti dopo tensioni continue. Non si sopportano più. Anzi, si odiano proprio, provano un'insofferenza totale l'uno per l'altro. I motivi, come quelli della Lazio del '74, rimangono ancora oggi oggetto di discussione. Avranno infuito sicuramente i loro vizi (per Mould l'alcol, per Hart l'eroina), qualche maligno ha ipotizzato addirittura una loro relazione finita male (omosessuale il primo, bisessuale il secondo), da sempre smentita da entrambi.

La verità, probabilmente, è la più facile possibile: due galli non possono condividere lo stesso pollaio. Due menti geniali, eccellenti, che nell'agosto dell'86, quando iniziano a provare per Warehouse: Songs and Stories, erano già nell'Olimpo del punk. Avevano già rivoluzionato la musica, prima con il seminale, essenziale, irripetibile Zen Arcade, picco assoluto del post-hardcore/hardcore punk, poi con le sonorità alternative rock di New Day Rising.

Ma il contratto era chiaro: serviva ancora un disco. Perchè la storia della musica insegna che i più meritevoli non sono anche quelli con il portafoglio pieno, e gli Husker Du non avevano una disponibilità tale da mandare a benedire gli obblighi di contratto per delle divergenze personali.

La situazione, però, era drammatica. Nessuno dei due intendeva cedere nulla all'altro. Nessuno dei due si smuoveva di un passo. Nessuno tendeva la mano. Alla fine, si opta per la soluzione più democratica, e allo stesso tempo folle, possibile: dieci pezzi a testa. L'ultimo album degli Husker Du sarebbe stato formato da venti pezzi, metà di Mould, metà di Hart, altrimenti nulla.

E se già le premesse non erano delle migliori, le prove sono letteralmente ingestibili. Non si rivolgono nemmeno la parola, il clima è pessimo, la situazione è drammatica al punto che Greg Norton, bassista del gruppo, spesso non si presenta alle prove a lascia ai colleghi le linee di basso, pur di non aver a che fare con loro.

Quest'assurda storia va avanti fino a novembre dell '86, quando terminano le registrazioni dell'album. Nella mente dei due c'è stata per tre mesi solo un'idea: la volontà di primeggiare sull'altro.

Ed è per questo che Warehouse: Songs and Stories, uscito nel gennaio del 1987 (gli Husker Du si sarebbero sciolti a dicembre di quell'anno), poteva essere un disastro su tutta la linea, un capriccio di due prime donne, ma è, invece, uno dei più grandi capolavori della storia della musica.

Gli Husker Du quasi si dimenticano di essere stati degli innovatori dell'hardcore punk, e si lasciano andare ad un album totalmente alternative rock, per quanto le influenze del post-hardcore e, addirittura, del power pop siano evidenti.

Parlare dei venti pezzi dell'album in maniera canonica sarebbe come elogiare il David di Michelangelo: ci ha pensato la storia a consacrare Warehouse nell'Olimpo della musica, e non serve aggiungere altro.

Ciò che però colpisce per la sua assurdità, contro ogni dogma della statistica, è che non c'è un pezzo sbagliato nell'intero disco. Spesso si fa fatica a non trovare una traccia debole in un album di dieci brani, ma in Warehouse, su venti, non ce n'è una che sia non solo sbagliata, ma nemmeno fuori posto. Provate a leggere la scaletta e a pescarne una a caso, e sarà un capolavoro come tutte le altre. Che sia la frenetica Ice Cold Ice firmata Bob Mould, o il gusto anni '60 di Charity, Chastity, Prudence and Hope di Grant Hart, tutte le "stories" dell'album sono delle gemme immacolate e perfette.

68 minuti di musica, aperti dal manifesto These Important Years, forse una delle canzoni più belle di sempre, e chiusi da You Can Live at Home, saranno il testamento degli Husker Du, che dal dicembre dell'87 non riusciranno nemmeno a pensare per un solo momento all'idea di una reunion, nonostante le pressioni, le richieste e le suppliche da parte di etichette, organizzatori, eventi (l'unica eccezione fu un concerto benefit nel 2004 in cui Mould invitò sul palco Hart per suonare due pezzi) .

Di loro sarebbe rimasta solo la memoria, e non è un caso che "Husker Du" in norvegese/danese sia l'equivalente di "ti ricordi?". E sarebbe rimasto l'insegnamento, poco corretto sotto un punto di vista morale, che anche dall'odio può nascere qualcosa di straordinario.

La morte di Grant Hart nel settembre 2017 a causa di un cancro al fegato ha messo la definitiva parola "fine", trent'anni dopo Warehouse, a qualsiasi sogno (per la verità comunque vano) di una reunion.

Ma rimarrà per sempre l'inestimabile valore della musica degli Husker Du, il gruppo diviso all'interno, ma che quando c'era da scendere in campo era invincibile.

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