Riscoprire la bellezza di leggere in treno
- Cristopher Stasi
- 27 mar 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 4 giu 2020
Ci fu un periodo della mia vita in cui cominciai a prendere il treno ogni mattina. Subito mi colpì come in un unico luogo potessero ritrovarsi uomini e donne di etnia, ceto sociale ed età così differenti tra loro. Penso sia proprio questa diversità a rendere il treno un luogo estremamente affascinante, fascino che cominciai a notare solo dopo aver scrutato attentamente chiunque mi stesse intorno, un’attività in cui non mi ero mai dilettato prima del periodo sopracitato (era mia consuetudine prendere il treno in compagnia, non prestando attenzione a ciò che avevo intorno). Mi trovai d’un tratto solo con i miei pensieri, con i miei infiniti monologhi interiori, in cui immaginavo quale brillante carriera potesse aver intrapreso il giovane signore benvestito seduto in fondo alla carrozza, tutto accigliato dinnanzi al suo computer già di prima mattina. O a quanti sacrifici abbia fatto per sé e la sua famiglia l’operaio seduto alla mia sinistra, con gli abiti logori e le mani piene di calli, martoriate dal duro lavoro. O alle paturnie dell’universitaria sedutasi di fronte a me, alle prese con l’ultimo disperato ripasso prima dell’esame di diritto privato, (lungo il tragitto avrà provato a ripetere a memoria almeno un centinaio di articoli della costituzione). Tutto in lei mostrava un’ansia incontrollabile, dai suoi movimenti inarrestabili, accompagnati da un leggero tremore, alla sua voce leggermente spezzata con cui ripeteva incessantemente, ripetizioni spesso seguitate da imprecazioni, dovute a un qualsivoglia tipo di errore. Non so spiegarne razionalmente il motivo, nonostante non sapessi nulla di costoro, sentivo i loro problemi premere dentro il mio animo, quasi come se fossero i miei. Penso che la mia empatia verso le problematiche degli altri passeggeri fosse dovuta alla, per loro inconsapevole, condivisione del mio piccolo momento d’intimità e solitudine con costoro. Indubbiamente il più prezioso della giornata. Questa inspiegabile sensazione, accrebbe quando presi la saggia decisione di iniziare a leggere anche in treno, un romanzo che tanto mi stava appassionando –quel romanzo era “Anna Karenina”-. Beninteso, con un mattone di quasi novecento pagine tra le mani divenne difficile continuare a osservare gli altri pendolari con lo zelo di prima, ragion per cui quasi tutti i sentimenti e le attenzioni a loro rivolte passarono alle complicatissime vicissitudini di Anna. Ben presto divenne un appuntamento fisso, a cui non riuscivo neanche lontanamente a immaginare di poter rinunciare. Senza neanche rendermene conto, mi ritrovai catapultato nelle enormi contraddizioni della Russia ottocentesca, nel costante scontro tra nichilisti e ultra-conservatori, tra le donne bramose di ottenere la libertà, stanche di essere oppresse da mariti disposti a ricorrere a qualsiasi mezzuccio senza remora alcuna, per preservare l’immotivato potere, da essi posseduto ingiustamente e senza alcun merito dall’alba dei tempi. Nella mia testa camminavo ansiosamente fuori dal Palazzo d’Inverno mentre cercavo una soluzione per gli irrisolvibili enigmi di cuore della protagonista, obbligata dal marito a scegliere tra una vita penosa, fatta solamente d’ipocrisia, allietata unicamente dall’amore di suo figlio o la sua tanto agognata libertà con il suo amore proibito, resa penosa dalla mancanza del suo adorato bambino. Mentre nel mio cervello vagavo per Pietroburgo in preda all’irrequietezza più totale, in un turbinio d’emozioni che solo una città tanto idealizzata quanto quella era in grado darmi, tornavo, ahimè, nella realtà tanto opprimente quanto monotona e penosa, solo quando venivo destato dalla vocina robotica della Trenord, che annunciava la mia fermata. Da lì, nell’arco dell’intera giornata, c’erano lunghi momenti di febbrile attesa, in cui non vedevo l’ora di tornare sul mio amato treno per scoprire le sorti dei personaggi, ormai a me cari e familiari molto più di tante persone incontrate lungo il mio percorso di vita. Si creò una connessione totale tra le nostre vite, sentivo in un qual modo che fossero subordinate tra loro. In quella dimensione parallela, il mio turbamento si riversava sui personaggi e viceversa. Non potei fare a meno di pensare che in questo processo ci fosse una grande complicità del treno, un luogo all’apparenza insipido, privo di significato. Un banalissimo mezzo di trasporto, divenuto inesplicabilmente luogo della mia apoteosi emozionale e letteraria. “E il Naufragar m’è dolce in questo mare” scriveva Leopardi alla fine del suo celeberrimo capolavoro “L’Infinito”. L’autore recanatese si rifugiava nel suo caro ermo colle, naufragando allegoricamente nella propria immaginazione, stimolata da una siepe che gli impediva di vedere oltre. Si può dire che il treno, in quel lasso di tempo, sia stato il mio ermo colle, il mio rifugio sicuro, ove godevo beatamente della mia solitudine, dando massimo sfogo alla mia immaginazione. Quest’ultima fu stimolata, prima timidamente dalle persone che mi circondavano, per poi toccare l’apice con uno dei più bei libri mai scritti nella storia della letteratura, la mia siepe. Questo connubio perfetto mi ha permesso di viaggiare nel tempo e nello spazio, permettendomi di passare trenta minuti al di sopra dell’umana concezione, troppo spesso prettamente limitata a quella sfera colma di pesanti costrizioni, che è la realtà. Un momento d’inestimabile valore per stare con noi stessi, a cui molti sembrano non dare più il giusto peso. Auguro a chiunque, dal profondo del mio cuore, di trovare il proprio colle e la propria siepe. Dopo di ciò, saprete già dove andare e cosa fare, quando sarete stremati, messi all’angolo come un pugile suonato, da quella realtà con cui combattete ogni giorno.
Bello Chris
Veramente bello!